I diritti dei padri separati e divorziati e l'alienazione genitoriale (I)



In questi giorni le cronache (si veda il link all'articolo de La Stampa) si sono occupate del problema, tanto frequente quanto irrisolto, della alienazione dei padri separati e divorziati.
La parola alienazione non l'ho usata a caso, e ritengo che possa essere la chiave di lettura per la soluzione del problema stesso.
Molte mogli separate o divorziate (tengo a precisare da ora e per sempre: molte, non tutte) non hanno alcuna cognizione profonda ed elaborata del concetto di bigenitorialità: il padre separato è, alternativamente, o un bancomat (spesso dai confini indefiniti se non anche infiniti) o una tata che tiene i bimbi se e quando ve ne è bisogno, spesso al di fuori di qualunque condizione prevista negli atti.
Il problema è vivo e reale: non risulta esservi una percentuale considerabile di madri alienate, mentre, ahinoi, è in un "crescendo rossiniano" la quantità di padri.

E quando parlo di alienazione, intendo la cosiddetta sindrome da alienazione genitoriale, studiata, nei suoi vari gradi, da Richard Alan Gardner e consistente in tutti quegli atti posti in essere per "mettere all'angolo" la figura paterna fino ad arrivare, nei casi estremi, a farla scomparire dalla vita del figlio (con l'utilizzo di argomenti tipici del genitore alienante, il classico "mio figlio dice cose che non possono essere frutto del suo pensiero", per fare solo un esempio tra i tanti dei requisiti necessari).

Il discorso sarebbe lunghissimo (e, a rate, lo faremo), ma anche semplicemente nel mio studio, a fronte di un caso raro di madre alienata, abbiamo decine di madri alienanti e padri alienati (anche parzialmente: non è ovviamente necessario che tutti i cosiddetti requisiti di Gardner siano presenti).
Il problema (tutto italiano) è che la evoluzione giurisprudenziale della alienazione genitoriale (PAS) ha portato a sancirne l'irrilevanza scientifica quale patologia (a mio avviso primo, grande errore: allora togliamo la patente di patologico a qualunque disturbo di natura psicologica...) e, deduzione che più italica non si può, conseguentemente a sancirne l'irrilevanza a qualsivoglia titolo, tanto che, nelle vertenze giudiziali di famiglia, di PAS non si riesce più a parlare se non in rarissimi casi. Complice, diciamolo, in numero decisamente troppo esiguo di giudici disposti a guardare con attenzione la realtà piuttosto che con pigrizia le massime della Cassazione (da taglincollare velocemente).

Il compito del legislatore è dare norme alla realtà, e l'alienazione genitoriale è un fenomeno enorme (altrove tranquillamente considerato tale...) che investe un numero gigantesco di padri (soprattutto), e che, se portata al massimo livello, è sempre anche foriera di pericolose derive penali.
Peraltro, dando norme (si spererebbe ben fatte) alla realtà, si scavalcherebbe la fantasia creativa della Cassazione, troppo spesso chiamata a sostituire il Parlamento con armi improprie e a volte (come in questo caso) maldestre o conservatrici.

Soluzioni? A mio avviso l'obbligatorietà (e non la facoltatività) della mediazione famigliare e il pieno riconoscimento della PAS con un apparato "sanzionatorio" immediato ed efficace, consistente, nei casi più gravi, nel cautelativo affidamento a terzi (parenti, comunità o famiglie) del minore cui si sta distruggendo psicologicamente una figura genitoriale.

Indubbiamente è un discorso che continueremo.

LB

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