Matrimoni omosessuali celebrati all’estero: ancora respinte le domande di trascrizione





L'ennesimo caso che chiama (direi urla) la necessità di un intervento legislativo.
Come più volte detto, sia finalizzato a fermare il fenomeno distorto ed incoerente della giurisprudenza creativa, sia, diciamolo, per accodarci a tutti i Paesi che, non credo a caso né sbagliando, definiamo civili.

LB



La Corte di Appello di Milano, sentenza del 6 novembre 2015, ribadisce la non trascrivibilità del matrimonio omosessuale contratto all’estero.
Nonostante le recenti pronunce della Cassazione e della Corte Costituzionale, una coppia omosessuale, tenta di far trascrivere il proprio matrimonio in Italia.
A fronte del rifiuto dell’ufficiale dell’anagrafe e della decisione del Tribunale, la coppia si rivolge alla Corte d’Appello.
Il tribunale di Milano, infatti, aveva rigettato la richiesta, sostenendo che l’atto di matrimonio tra persone dello stesso sesso, non è idoneo a spiegare effetti giuridici nel nostro ordinamento sulla base dell'attuale vigente normativa. Alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale, nazionale e sovranazionale, in materia, non si può affermare l'esistenza del diritto di persone dello stesso sesso a contrarre matrimonio “come diritto riconosciuto dalla nostra costituzione e dallo stesso ordinamento sovranazionale”.
Intervengono nel giudizio d’appello, come già in quello di primo grado, l’associazione Avvocatura per i Diritti LGBTI- Rete Lenford e un’altra coppia con interesse analogo a quello degli appellanti.
La Corte preliminarmente decide sulla legittimità degli interventi.
Non è ammissibile l’intervento della coppia che intende sostenere, ex articolo 105 2° comma c.p.c., le ragioni dei ricorrenti, basato sull’interesse personale a un provvedimento che potrà legittimare la trascrizione da parte dell’Ufficiale dello stato civile.
Per questo tipo d’intervento, denominato “adesivo dipendente”, l’interesse deve essere non di mero fatto ma giuridico: non c’è tra le parti un rapporto giuridico sostanziale tale che la posizione soggettiva degli appellanti possa essere pregiudicata dal disconoscimento delle ragioni degli intervenienti.
Con riguardo invece all’Associazione, la categoria d’interessi dei cittadini LGBTI può essere ricondotta a quella d’interessi diffusi se si accerta l’effettiva rappresentatività dell’associazione rispetto all’interesse di cui si fa portatrice.
Lo scopo dell’associazione è di sviluppare e diffondere la cultura e il rispetto dei diritti delle persone LGBTI (ossia, omosessuali, bisessuali, transessuali e intersessuali), attraverso un’attività che promuove la tutela giudiziaria, l'utilizzazione degli strumenti di tutela collettiva, presso le corti nazionali e internazionali, partecipa a procedimenti di consultazione di autorità pubbliche, nazionali ed internazionali, promuove iniziative in collaborazione con gli ordini professionali e le associazioni rappresentative e organizza incontri per favorire il dibattito e la discussione.
Pertanto secondo la Corte milanese, può sostenersi che l’associazione, con riferimento al pregiudizio alle persone LGBTI derivante dal rifiuto di trascrizione, abbia un interesse che la legittima ad intervenire in giudizio.
Venendo al merito del ricorso, la Corte richiama la recente sentenza n. 2400 del 9 febbraio 2015, con cui la Corte di Cassazione ha ribadito la non trascrivibilità del matrimonio omosessuale, almeno fino a che il Parlamento non avrà espressamente previsto di estendere l’unione matrimoniale a persone dello stesso sesso.
La questione è stata già sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale nel 2010, la quale si è già pronunciata sulla costituzionalità delle norme codicistiche da cui si ricava che la diversità sessuale dei coniugi - ad oggi - sta alla base del matrimonio ed è un requisito essenziale per la sua legittimità.
Pertanto è costituzionalmente legittimo il divieto di contrarre matrimonio tra persone dello stesso sesso, ed è rimessa alla piena discrezionalità del Parlamento individuare forme di garanzia, basate sull’art. 2 della Costituzione, e di riconoscimento delle unioni tra persone omosessuali.
La mancata estensione del modello matrimoniale alle persone dello stesso sesso, non costituisce una lesione della dignità umana e dell'uguaglianza, ugualmente tutelate nelle situazioni individuali e nelle situazioni relazionali rientranti nelle formazioni sociali costituzionalmente protette dagli articoli 2 e 3 della Costituzione.
L’unione omosessuale, quale stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, rientra nelle formazioni sociali, e da diritto - nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – a un riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri.
Quanto alla normativa sovranazionele, viene citata la Carta di Nizza che ha valore vincolante perché ha la stessa efficacia dei trattati.
La Carta sembra porre la regola “gender-neutral”, cioè il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia a prescindere dal sesso (art.  9), ma riserva, comunque, agli Stati la modalità di garanzia secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio.
Così facendo, si è voluto evidenziare la mancanza del principio di attribuzione nella materia matrimoniale, non disciplinata dal diritto europeo, ma dalle sole norme di diritto interno, e la conseguente impossibilità di configurare obblighi a livello statale derivanti dai diritti stabiliti all’art. 9 della Carta.
Anche l’art. 12 della Convenzione Europea sui diritti dell’uomo lascia al legislatore nazionale un margine di discrezionalità nella scelta delle forme e della disciplina giuridica dell’unione matrimoniale.
La Corte d’appello richiama alcuni casi decisi dalla CEDU in materia.
Con le sentenze Schalk and Kopf c. Austria del 24 giugno 2010, Gas e Dubois c. Francia del 15 marzo 2012 e Hamalainen c. Finlandia del 16 luglio 2014, La Corte EDU ha ribadito il principio del margine di apprezzamento degli Stati membri.
Un diritto al matrimonio non può neanche essere ricavato dalle norme della Convenzione (art. 8 e art. 14) e che, anche quando gli Stati decidono di offrire alle coppie omosessuali un’altra forma di riconoscimento giuridico, essi beneficiano di un certo margine di apprezzamento per decidere la natura esatta dello status conferito.
Pertanto, conclude la Corte d’appello di Milano, il matrimonio contratto tra persone dello stesso sesso pur esistente e valido, non è idoneo a produrre effetti giuridici nel nostro ordinamento, e non è trascrivibile.
La trascrivibilità del matrimonio in questo caso, dipende dalla scelta di riconoscere e garantire a persone dello stesso sesso il diritto fondamentale di contrarre matrimonio.
Il vuoto normativo conseguente all’inerzia del legislatore non può essere colmato per via giudiziaria.
La Corte Edu, con la recente decisione Oliari ed altri c. Italia del 21 luglio 2015, ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 8 della Convenzione sui diritti dell’Uomo, poiché non giustificabile il ritardo nel legiferare in materia di riconoscimento e tutela delle unioni diverse dal matrimonio nel nostro Paese.
Pur tenendo conto che "è necessario del tempo per ottenere una graduale maturazione di una visione comune nazionale per il riconoscimento di questa nuova forma di famiglia", la Corte ha ritenuto che il Governo italiano ha oltrepassato il margine di apprezzamento attribuito a ogni Stato in materia, e non ha rispettato l’obbligo di fornire una disciplina giuridica che prevede il riconoscimento e la tutela delle unioni tra persone dello stesso sesso, violando così la Convenzione.
(Altalex, 28 dicembre 2015. Nota di Giuseppina Vassallo)


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