La crisi dell'avvocatura (pt. II). La fuga dalla professione: già 8.000 avvocati hanno lasciato la toga









Disarmo, tristezza ed un pizzico di cinica soddisfazione del "te l'avevo detto io".


La ormai lunga permanenza nella professione (lunghissima se si considera quella dello studio nella sua storia), nonché dieci anni di Consiglio dell'Ordine mi hanno concesso di osservare in maniera chiara e totalmente disincantata il mutare del nostro mestiere, della considerazione che ha dalla parte della gente, e della considerazione che ha avuto, altalentante ed a volte feroce, da parte di chi ci governa.


Avvocatifici modaioli, decenni di casse del sud travisate, illusioni familiari, pacche sulle spalle, sogno del soldo facile, titolo da sbandierare, titolo per far carriera e per far punti o semplice scusa per camminare a testa alta....: l'avvocatura è stata oggetto delle più folli ed italiche tendenze modaiole degli ultimi decenni.
E intanto la platea degli avvocati si ingigantiva senza che nessuno si rendesse conto che il rapporto tra offerta e domanda cominciava a sballarsi in maniera folle, assurda, decisamente autodistruttiva. In un paese di trecento anime campa un bar, non dieci. Il ragionamento sarebbe semplice, ma nel nostro Paese sappiamo che le strade dritte, ed i ragionamenti lineari semplicemente non esistono.


Poi le crociate di alcuni governi che hanno tolto all'avvocatura interi settori del diritto (il cosiddetto risarcimento diretto, tanto gradito alle assicurazioni -per citare solo un esempio- ha calpestato non pochi diritti e fatto chiudere non pochi studi....).


Poi la suprema inefficacia del sistema giustizia: anni ed anni per avere una decisione (spesso presa a vanvera) impugnabile ed impugnabile ancora.
Totale incertezza del diritto in un sistema di norme e sentenze che tocca le centinaia di migliaia di fonti formalmente in vigore. Vero tutto ed il contrario di tutto, praticamente sempre. Un giochino, come molti nostrani, che sembra furbo finché non mostra la corda.


Insomma: o diventiamo qualcos'altro (complice qualche governo che capisca che 240.000,00 professionisti sono una risorsa preziosissima, e con famiglie a seguito sono qualche milione di voti...........), o la professione soccomberà.
O, cinicamente, sopravvivranno tutti quelli che, in un modo o nell'altro -spessissimo attingendo a risorse familiari- riusciranno a non chiudere.


Ma, rispeto, non utilizzare questo enorme bacino di competenza e professionalità è, da parte di uno Stato, una follia autolesionista.


Il Ministro Orlando sembra saperlo (si ricordi l'illuminato intervento al congresso nazionale dell'avvocatura di Venezia, l'anno scorso), ma col lavoro siamo troppo indietro.


E ottomila sono già scappati, strangolati da una professione dai costi certi ed enormi quanto incerti ed esigui sono i guadagni.
Sarebbe bello salvaguardare il diritto degli italiani (non solo degli avvocati) a guadagnare poco, ma sempre col segno più nel rapporto costi/benefici.
Purtroppo, invece, in Italia il "pizzo legale" per tenere aperta la propria attività (qualunque tipo di attività) è follemente alto.


Il discorso sarebbe ancora molto lungo.....chiudiamo qui col classico rimando alla prossima puntata:


(...continua)




LB






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meglio le capre che la toga

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