Chi opera nel nostro settore è ormai abituato alle decisioni “controcorrente” frequentemente emesse dal Tribunale di Milano, spesso non in linea con la giurisprudenza maggioritaria.
Con la sentenza del 23.03.2016, il Tribunale si è espresso su un annoso problema: i contrasti che insorgono tra i genitori (specialmente se separati burrascosamente) al momento di assumere decisioni relative ai figli minori.
In ipotesi di decisioni di maggiore interesse, come l’iscrizione a scuola, i trattamenti sanitari, la residenza, nulla quaestio: la decisione definitiva è rimessa al Giudice.
Ma che dire dei molto più numerosi disaccordi sui problemi quotidiani? Che sport far praticare al bambino? Quali capi di vestiario acquistare? Come tutelarsi se l’altro genitore ha l’abitudine di “sforare” di mezz’ora sull’orario di riaccompagnamento del figlio? Come regolarsi se sorge la necessità di modificare di mezza giornata il calendario di feste alternate?
In tutte queste ipotesi, i Giudici milanesi hanno ritenuto che lo strumento di tutela non possa essere un ricorso al Tribunale, ma un inedito riferimento ai Servizi Sociali territorialmente competenti. La ratio è chiara: non si possono intasare gli uffici giudiziari per questioni di “minore importanza”.
I genitori esercenti la responsabilità genitoriale hanno, nell’opinione del Tribunale, il preciso dovere di tentare ogni via possibile per non far ricadere i propri compiti educativi sul Giudice.
Va da sé che, qualora nemmeno l’intervento dei Servizi si riveli risolutivo, il tentativo di accordo sarà da considerarsi definitivamente infruttuoso e la decisione ultima verrà assunta in sede giudiziale. Sede che, tuttavia, viene ad essere definita un’ultima spiaggia nell’interesse della prole minore.
Il ragionamento alla base della pronuncia ci pare, in astratto, condivisibile. Sono i genitori, ogni qualvolta possibile, a dover assumere le decisioni relative ai figli, non potendosi utilizzare la deriva giudiziale alla stregua di una costante “minaccia” sull’altro genitore. E, del resto, sappiamo bene che i ricorsi al Tribunale portano a risultati concreti in caso di pronunce sull’affidamento, sul collocamento o sulla contribuzione economica, mentre ben poco possono i Giudici di fronte a genitori “dispettosi” che si muovono sul confine dei propri diritti (il risarcimento del danno previsto dall’art. 709 ter c.p.c. non viene quasi mai applicato e gli eventuali ammonimenti lasciano il tempo che trovano…).
D’altra parte, tuttavia, non possiamo non interrogarci sulle ricadute pratiche di una remissione delle liti ai Servizi Sociali. Quale norma giuridica può fungere da appiglio? In base a quale normativa i Servizi potranno ritenersi competenti a prendere in carico la situazione? E, soprattutto, che valore giuridico potrà avere l’eventuale accordo raggiunto in questa sede? Che rimedi avrà a disposizione il genitore a fronte dell’inadempimento dell’altro? La risposta ci sembra inevitabilmente essere… rimettere la questione al Tribunale.
Riferimento giurisprudenziale: sentenza Tribunale di Milano del 23.03.2016

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