Come chi scrive si aspettava abbondatemente, il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione ha chiesto il ritorno del criterio del tenore di vita in tema di assegno divorzile, dopo le sentenze di cui abbiamo più volte parlato, recependo così più la recente giurisprudenza (contraria) dei giudizi di primo grado (e di qualche appello) piuttosto che quella della stessa Corte di Cassazione (seppur in sezioni singole).
Ma leggiamo le parole del PG:
"Ogni singolo giudizio richiede necessariamente la valutazione delle peculiarità del caso concreto perché l'adozione di un unico principio di giudizio - come quello stabilito dalla sentenza del 2017 - corre il rischio di favorire una sorta di giustizia di classe"
"sul fatto che il criterio dell'autosufficienza può essere preso come parametro di riferimento, ma non si può escludere di rapportarsi anche agli altri criteri stabiliti dalla legge quali la durata del matrimonio, l'apporto del coniuge al patrimonio familiare, il tenore di vita durante il matrimonio"
Non possiamo che dedurne, come personalmente temevo, una somma di criteri, generalmente comunque discrezionali, utili a rimettere tutto in discussione.
Che sia giusto o meno è corretto ritenere che ciascuno abbia la propria idea, pur restando fermi sul fatto che la legge sul divorzio non parla di "tenore di vita", ma chiaramente di autosufficienza del coniuge "debole" e capacità di mantenersi.
Dunque, se si farà "marcia indietro" sulle recenti pronunce di Cassazione, lo si farà in difesa non del dettato normativo, ma della pluridecennale interpretazione creativa giurisprudenziale.
Cosa, per chi scrive, non corretta.
Ma è un campo, il nostro, nel quale ogni posizione è motivabile e, comunque, rispettabile.

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