Ha tenuto e tiene molto banco, in questo periodo, la polemica sul disegno di legge "allontanamento zero".
Facciamo nostre le parole (come sempre perfette) della Collega ed amica Assunta Confente, del Foro di Torino, le cui battaglie a fianco dei minori sono note, condivisibili ed encomiabili.
L'articolo è lunghino e un po' tecnico, ma c'è davvero tutto quello che ci deve essere, e vi auguriamo buona lettura.
Dopo mesi di feroci polemiche che hanno visto tutti (!!) schierati contro questo disegno di legge (servizi sociali, avvocatura, magistratura, asl, associazioni, ecc...), nello stesso giorno di un intervento critico dell'Arcivescovo di Torino lo stesso disegno è stato sospeso e verranno "aperti tavoli" per confrontarsi con le componenti critiche (ripeto: per mesi inascoltate, anche con qualche "tono" non del tutto adeguato..., malgrado l'indiscutibile autorevolezza delle voci che manifestavano perplessità: ma accontentiamoci dell'apertura dei tavoli, con l'impegno nostro a seguire con attenzione il lavoro degli stessi).
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di Assunta Confente:
La
Giunta regionale del Piemonte ha approvato il 22 novembre 2019 un
disegno di legge denominato “Allontanamento Zero: interventi a
sostegno della genitorialità e norme per la prevenzione degli
allontanamenti” che nelle intenzioni del legislatore dovrebbe
sostenere le famiglie di origine affinchè queste riescano “ad
esprimere appieno le proprie risorse potenziali, assicurando un
ambiente idoneo a consentire la crescita armonica del minore nella
propria famiglia”.
La
proposta nasce dichiaratamente per impedire o comunque arginare gli
allontanamenti dei bambini, in situazione pregiudizio, dalle loro
famiglie in una Regione in cui gli allontanamenti risulterebbero al
di sopra della media nazionale.
In
realtà non esistono a livello nazionale statistiche che possano
mettere a confronto i dati regionali in modo uniforme, perché i dati
raccolti non distinguono tra allontanamenti giudiziali, consensuali e
minori stranieri non accompagnati, senza dire che non sono indicati i
motivi degli allontanamenti; in ogni caso non si può non osservare
che le differenze tra regione e regione risulterebbero minime e si
potrebbe anche a contrario affermare che la tendenza piemontese sia
l’esito di un lavoro più accurato da parte degli operatori che
riescono ad intercettare meglio i casi critici.
Il
disegno di legge dopo aver riaffermato all’art. 1 il principio
cardine del nostro ordinamento che prevede il diritto del minore a
crescere nell’ambito della propria famiglia, così come previsto
all’art. 1 comma 1 e 5 della legge n. 184/1983, elenca nei
successivi articoli le modalità con le quali la Regione Piemonte
intenderebbe garantire questo diritto.
Dalla
lettura di questi successivi articoli emergono però numerose
incongruenze perché il disegno di legge:
- sembrerebbe attribuire ai Servizi sociali poteri che pacificamente invece non hanno, per poter così dare l’impressione di limitarli o addirittura sopprimerli.
- sembrerebbe ignorare che esiste una normativa nazionale che deve essere rispettata, confondendo i piani decisionali.
- non offre alcuna risorsa diretta a rimuovere le cause che impediscono la funzione educativa e di cura genitoriale.
Tutto
questo da una parte determina l’inapplicabilità sostanziale della
disciplina sulla prevenzione degli allontanamenti (art. 2),
concorrendo però ad alimentare sfiducia e diffidenza nell’operato
dei Servizi sociali, dall’altra rischia, comunque, di sottrarre
risorse ad un sistema già in grave difficoltà per carenza di
personale.
L’art. 2
del Ddlr, infatti, prevede che “l’allontanamento
di un minore dal nucleo familiare di origine per cause di fragilità
o inadeguatezza genitoriale”
possa essere praticato solo successivamente “all’attuazione
di un progetto educativo famigliare denominato Pef pertinente e
dettagliato costruito con la famiglia, contenente obiettivi di
cambiamento e miglioramento delle relazioni famigliari possibili e
verificabili”.
Orbene
qualunque operatore sociale e giurista sa che il servizio sociale può
allontanare un minore dalla famiglia solo in due ipotesi.
La
prima è il cd. “affidamento
consensuale” ed è previsto dal
combinato disposto degli artt. 2, comma 1 e 2, e dell’art. 4
comma 1 della legge n. 184/1983. La seconda è prevista dall’art. 403
cc che autorizza la Pubblica Autorità a collocare in luogo sicuro il
minore che si trovi in una situazione di palese pregiudizio e
pericolo.
Non
si comprende, quindi, come possa essere applicato l’art. 2 del
disegno di legge alla luce della vigente legge nazionale.
Certamente
non può riguardare l’affidamento consensuale contemplato
dall’art. 4 legge 184/1983, che prevede, nel caso in cui il
minore sia temporaneamente privo di ambiente familiare idoneo,
nonostante gli interventi di sostegno e aiuto, che sia disposto dal
servizio sociale l’affidamento “previo
consenso manifestato dai genitori o dal genitore esercente la
responsabilità genitoriale”,
“sentito il minore che abbia
compiuto i dodici anni o anche di età inferiore se capace di
discernimento”. Il Servizio
sociale può quindi autonomamente attivare, con il consenso dei
genitori, diversi tipo di affido, quali l’affido diurno, l’affido
notturno, l’affido per alcuni giorni alla settimana o solo per
alcune ore al giorno, in relazione alle necessità delle famiglie e
dei bisogni dei bambini, ed anche l’affido a tempo pieno per un
periodo prestabilito, prevedendo un progetto di interventi diretti a
favorire la relazione genitori figli ed il mantenimento dei rapporti
con gli altri famigliari. Si tratta, quindi, di un affidamento
disposto con l’accordo dei genitori i quali chiedono e/o convengono
che per un certo periodo sia preferibile che la prole sia affidata a
terze persone non avendo una rete familiare di supporto; in ogni caso
è sempre previsto un programma di aiuto e sostegno ai genitori
affinchè possano superare il loro momento di difficoltà.
Nell’ipotesi
in cui ci sia un rifiuto da parte dei genitori ad accogliere gli
interventi di sostegno e aiuto indicati dal Servizio sociale e il
Servizio sociale ritenga ci sia un pregiudizio per il minore questo
segnalerà la situazione del minore alla Procura della Repubblica
presso il Tribunale per i minorenni che, effettuata una sua sommaria
indagine, potrà archiviare la segnalazione ovvero, se la ritiene
meritevole di approfondimento, potrà proporre avanti al Tribunale
per i minorenni un ricorso ex
artt. 330-333 cc per la limitazione o la decadenza della
responsabilità genitoriale, affinchè sia valutata l’opportunità
e la modalità di un intervento di tutela nei confronti del minore,
anche eventualmente prevedendo l’allontanamento del minore dalla
famiglia.
Il
Servizio sociale, quindi, non ha alcun potere di allontanare i minori
dalla famiglia di origine, perché l’eventuale allontanamento, così
come tutti i provvedimenti limitativi della responsabilità
genitoriale sono sempre di competenza dell’Autorità giudiziaria.
Solo
nel caso in cui il minore si trovi in una situazione di manifesto
abbandono o grave pregiudizio in cui si debba intervenire con estrema
urgenza il Servizio sociale, come tutte le autorità pubbliche, potrà
ricorre all’art. 403 cc e collocare in luogo sicuro il minore.
Questo
provvedimento, che ha carattere amministrativo, è sottoposto
immediatamente al vaglio del Tribunale per i minorenni che può
confermarlo oppure revocarlo. C’è quindi, di prassi, una verifica
immediata da parte l’Autorità Giudiziaria.
Le
situazioni in cui l’autorità pubblica in generale (quindi non solo
il Servizio Sociale, ma anche i medici, le Forze dell’Ordine e più
in generale tutti i pubblici ufficiali) applica l’art. 403 cc
sono peraltro limitatissime e circoscritte a casi gravissimi: il
bambino che viene ricoverato all’ospedale con traumi gravi che
appaiono ictu oculi
non accidentali, l’adolescente che chiede di non rientrare a casa
perché maltrattato o vessato oppure, sempre più spesso, quando è
una madre a chiedere l’allontanamento dalla casa familiare con il
figlio perché vittima di violenza o maltrattamento da parte del
marito o del convivente.
La
Corte di cassazione con sentenza n. 20928 del 9 giugno 2015/18
ottobre 2015 ha chiarito che l’intervento ex
art.403 cc da parte della Pubblica Autorità è ammesso in situazioni
di abbandono morale e materiale ed in genere in situazioni di
pregiudizio che siano “palesi,
evidenti e comunque di agevole o indiscutibile accertamento”.
Anche
in questo caso l’art. 2 del disegno di legge regionale non è
pertanto applicabile, perché è inimmaginabile la sospensione di un
allontanamento per sei o più mesi in attesa di un progetto di
recupero della inadeguatezza genitoriale nelle situazioni di urgenza
sopra descritte.
A
prescindere dal fatto che la norma andrebbe a collidere con un’altra
di rango superiore, un sistema di protezione dei minori deve comunque
prevedere la salvaguardia delle situazioni di urgenza, diversamente
contrasterebbe con l’interesse del minore ad essere protetto in
situazioni in cui vi è rischio di grave pregiudizio.
Il
disegno di legge, invece, ignora completamente le situazioni di
pericolo e connotate da palese stato di abbandono morale e materiale,
nonostante la cronaca ormai abbia reso evidente, anche a chi non
vuole vedere, che non sempre la famiglia è un luogo di protezione
per il minore.
Tutti
conoscono l’emergenza femminicidio, ma molto spesso vicino a una
donna che subisce violenza c’è anche un bambino che quanto meno
assiste a quella violenza, quando non la subisce direttamente.
Non
tutti sanno che esiste anche il “figlicidio” e che dal 2000 ad
oggi sono circa 500 i bambini in Italia che sono stati uccisi da un
genitore; 500 casi in cui lo Stato ha mancato completamente il suo
intervento di protezione.
Quelle
500 vittime sono, di tutta evidenza, la punta di un iceberg
di violenze e abusi che i bambini di ogni età, di ogni fascia
sociale, di ogni etnia, di ogni religione, quotidianamente subiscono.
Certamente
l’istituto previsto dall’art. 403 cc dovrebbe essere oggetto
di riforma legislativa, già da tempo richiesta dall’avvocatura
minorile, che preveda la sua giurisdizionalizzazione indicando nel
rispetto del giusto processo, analiticamente tempi e modi per la
verifica dell’intervento amministrativo da parte dell’Autorità
giudiziaria, ma l’intervento regionale non ha e non potrebbe avere
quella finalità.
A
prescindere quindi dal fatto che l’art. 2 del disegno di legge
apparirebbe ultroneo e inapplicabile preoccupa però il contenuto per
il suo evidente messaggio.
Scrivere
che non sarà più possibile per il servizio sociale allontanare un
figlio dalla sua famiglia per cause di fragilità o inadeguatezza
genitoriale se prima non è stato messo in atto un progetto educativo
almeno semestrale significa sostenere che sino ad oggi questo è
stato possibile cosa che, come dimostrato, non è.
Sostenere
che l’inadeguatezza genitoriale possa essere risolta in sei mesi
grazie ad un progetto educativo famigliare (Pef) significa ignorare i
tempi di recupero di un tossicodipendente, di certe patologie
psichiatriche, di un alcolista, di un maltrattante. È esperienza
comune di tutti gli operatori sociali e giuridici che il termine di
sei mesi per il recupero della capacità genitoriale, della funzione
educativa e di cura nella quasi totalità dei casi è un tempo del
tutto inadeguato.
Affermare
che le condizioni di indigenza dei genitori esercenti la “potestà”
genitoriale non possono essere motivo di allontanamento del minore
dalla propria famiglia significa veicolare il messaggio che sino ad
oggi questo è stato possibile, quando invece è principio dello
Stato che “le condizioni di
indigenza dei genitori…non possono essere di ostacolo all’esercizio
del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine sono
disposti interventi di sostegno e di aiuto” (art. 1,
comma 2, legge n. 184/1983). È anche in questo caso esperienza
comune di tutti gli operatori sociali e giuridici che
l’allontanamento del minore dalla sua famiglia non viene mai
disposto per mere ragioni economiche.
Chiunque
abbia un minimo di esperienza giudiziaria minorile ha potuto
constatare che i motivi economici non sono mai la causa esclusiva
dell’allontanamento, ma al più una concausa: i fattori che
decidono l’allontanamento sono sempre molteplici e non si prescinde
mai da una valutazione delle capacità genitoriali, che certamente
non sono recuperabili con una risorsa economica maggiore.
Prevedere
di conseguenza che il 40% delle risorse del sistema integrato dai
servizi sociali e delle politiche familiari sia destinato a sostenere
le azioni di prevenzione, ma poi sostanziarle in un aiuto economico
alle famiglie (art. 5 ) “pari
almeno alla retta in presidio o al contributo all’affido
eventualmente erogabile”
significa impoverire ancora di più un servizio socio-assistenziale
che invece avrebbe necessità di maggiori risorse sia per una
autentica e concreta azione di prevenzione, che per i progetti di
recupero effettivo delle capacità genitoriali per cui è necessario
ridurre drasticamente i tempi di accesso al Servizio di psicologia e
di psichiatria ed ai servizi educativi.
Chi
si occupa di tutela di minori sa quante volte ci si scontra con i
tempi di attesa del servizio di Psicologia e Neuro Psichiatria
Infantile e per gli adulti, quante volte non sia possibile
implementare gli incontri che invece sarebbero necessari, quante
volte non ci sono le risorse per interventi e servizi educativi
familiari, per ampliare i luoghi protetti.
Il
Disegno di legge, che così come strutturato non porterà alcun
beneficio alla tutela dei minori, rischia solo di alimentare
allarmismo e ostilità nei confronti dei Servizi Sociali, di
intimorirli limitando il loro intervento già molto circoscritto
anche a causa della cronica e sempre più acuta carenza di risorse.
Nel
disegno di legge ad un certo punto si fa riferimento alla “potestà
genitoriale” anziché alla
“responsabilità genitoriale”.
Certamente un lapsus che però fa intravedere un legislatore più
orientato all’idea del potere del genitore sul figlio piuttosto che
al suo dovere di cura, educazione, mantenimento e ascolto.
Il
sistema di tutela minorile non è perfetto ed è in continua
trasformazione.
La
cronaca ha evidenziato in passato e anche recentemente interventi
sbagliati da parte dell’Autorità pubblica e da parte dell’Autorità
giudiziaria. Bisogna capire perché questo è avvenuto per non
ripetere gli stessi errori, ma non si può decidere che a causa di
alcune decisioni errate non ci sia più alcun intervento nei
confronti dei bambini in difficoltà, o peggio in pericolo.
Bisogna
avere il coraggio di analizzare senza preconcetti e soprattutto senza
posizioni ideologiche la realtà, per migliorare gli interventi e far
sì che non si ripetano mai più errori.
Per
questo occorrerà molta formazione a tutti i livelli, oltre
eventualmente interventi legislativi a livello nazionale che
dispongano ad esempio nelle procedure di volontaria giurisdizione
procedure la difesa obbligatoria degli adulti e del minore, così
come è già adesso previsto nelle procedure per la verifica dello
stato di adottabilità.
I
bambini non possono essere usati e strumentalizzati per battaglie a
sfondo e a fini politici.
Questo
disegno di legge è stato accompagnato a Torino da azioni
dimostrative quali la decorazione di un grande albero di Natale alla
stazione di Porta Nuova con le fotografie di tanti bambini presunti
“strappati alle famiglie” e con le lettere che i genitori avevano
preparato per loro.
Bambini,
riconoscibili, che sono stati dati in pasto alla curiosità di chi
transitava nella stazione, in spregio ai più fondamentali diritti di
rispetto e riservatezza che ogni persona dovrebbe godere.
Ecco
allora che il disegno di legge regionale “Allontanamento zero”
non può che apparire per quello che è: solo uno slogan
politico e non un progetto autentico di tutela degli interessi dei
minori.

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