In caso di nuova convivenza, si perde il diritto all’assegno divorzile.
A lungo questa è stata una delle –poche- certezze che avevamo in tema di revoca dell’assegno divorzile e di modifica delle condizioni di divorzio.
La Suprema Corte, in poche settimane, prima ha esteso la rilevanza della nuova relazione, dopo l’ha ridotta ben oltre i confini consueti.
Proviamo a fare ordine.
L’orientamento consolidato, che tutti conosciamo, prevedeva che il diritto all’assegno divorzile venisse meno nel caso in cui il coniuge percettore dell’assegno instaurasse una nuova stabile convivenza.
Abbiamo ben presenti gli sforzi processuali per provare (anche tramite testimoni, investigatori privati, ecc) la stabile convivenza, così come quelli –a parti invertite- per provare che no, non c’èra nessuna nuova convivenza, ma solo un nuovo compagno con cui ci si incontrava ogni tanto e si andava a cena fuori.
La ratio sottesa all’interpretazione della Cassazione era sostanzialmente improntata a un criterio di autoresponsabilità: la creazione di un nuovo legame stabile, con relativa convivenza, era indicativo del fatto che la persona si fosse “rifatta una vita”, assumendosi il rischio dell’andamento positivo o negativo di una nuova relazione e rescindendo in modo definitivo ogni vincolo solidaristico che ancora la legava all’ex coniuge.
Con la recente pronuncia n. 28778/2020, la Cassazione sembra estendere la rilevanza della nuova relazione ai fini dell’esclusione del diritto all’assegno divorzile. Viene infatti ritenuta sufficiente la prova di una relazione stabile e duratura, non necessariamente caratterizzata da convivenza continuativa, essendo sufficiente un rapporto consolidato “pure caratterizzato da ufficialità, nonché fondato sulla quotidiana frequentazione con periodi più o meno lunghi di piena ed effettiva convivenza”.
Tutti abbiamo pensato di dover rivedere i nostri ricorsi, dando rilevanza anche alle nuove relazioni in cui ci si ferma a dormire a casa dell’altro nei weekend.
Neppure il tempo di adattarsi al nuovo orientamento, che la Cassazione torna nuovamente sui propri passi, con un totale ripensamento (Cass. 28995/2020).
Si può ipotizzare, infatti, che neppure una nuova stabile convivenza sia sufficiente ad escludere il diritto all’assegno divorzile.
Come si giustifica un tale passo indietro, che ci riporta non all’orientamento originario, ma ad uno ancora più garantista per il coniuge percettore di assegno? Non c’è contrasto con i nuovi principi di autoresponsabilità che sono stati a più riprese affermati (e, negli ultimi anni, rinforzati) in tema di assegno divorzile?
La Cassazione prende le mosse dalla pronuncia a Sezioni Unite del 2018, con la quale si ridefinisce la natura dell’assegno divorzile. Tale assegno, come noto, non ha più natura esclusivamente assistenziale, ma anche perequativo-compensativa per gli sforzi e i sacrifici compiuti dal coniuge in costanza di matrimonio (classico esempio, la moglie che rinuncia alla propria carriera, in accordo con il marito, per accudire i figli, così contribuendo all’avanzamento professionale di lui).
Se la nuova convivenza, con la conseguente formazione di una nuova famiglia di fatto, fa certamente venir meno l’esigenza assistenziale sottesa all’assegno divorzile, non necessariamente farà venir meno anche la componente compensativa. In altri termini, il sacrificio compiuto in costanza di matrimonio non è annullato dalla successiva convivenza, avviata dopo il divorzio. Potrebbe dunque residuare uno spazio per l’assegno divorzile, eventualmente ridotto nel quantum.
Il principio di autoresponsabilità, infatti, vale anche per le conseguenze delle scelte compiute nel matrimonio, compreso il diritto ad una compensazione per i sacrifici compiuti.
Data la complessità e l’importanza del tema, sul punto sono state chiamate a pronunciarsi le Sezioni Unite.
Non ci resta che attendere.

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