Il Giudice delle Leggi torna a pronunciarsi sul delicato tema dell’attribuzione automatica del cognome paterno ai figli.
Il caso: una coppia non coniugata desidera attribuire al figlio il solo cognome materno. L’art. 262 c.c. prevede che, qualora padre e madre riconoscano il figlio nel medesimo momento, l’attribuzione del cognome paterno sia automatica.
La Corte, in precedenza, si era limitata a dichiarare l’illegittimità della norma nella parte in cui non prevedeva che, su accordo dei genitori, potesse essere attribuito il doppio cognome, ma nulla si era detto circa il solo cognome materno.
Quali le norme costituzionali potenzialmente violate? Certamente gli artt. 2 e 3 Cost, che sanciscono la pari dignità delle persone e l’uguaglianza tra uomo e donna, così come l’art. 29 Cost, sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi.
Senza scordare l’art. 117 Cost in combinato disposto con gli artt. 8 e 14 CEDU (rispetto della vita privata e familiare e divieto di discriminazione), specie se consideriamo che l’Italia è già stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per l’attribuzione automatica e obbligatoria del solo cognome paterno.
La Corte Costituzionale trae spunto dal caso concreto per compiere un ragionamento di più ampio respiro.
Viene ricordato, in primo luogo, che a più riprese la Corte ha stigmatizzato l’attuale disciplina, retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, non più compatibile con la società odierna e con il dettato costituzionale, auspicando un pronto intervento del Legislatore, mai pervenuto.
Nella pronuncia in oggetto, per la prima volta, la Corte rifiuta di attendere oltre, prendendo una posizione molto decisa. “Ancorché siano legittimamente prospettabili soluzioni normative differenziate, l’esame di queste specifiche istanze di tutela costituzionale, attinenti a diritti fondamentali, non può essere pretermesso, poiché l’esigenza di garantire la legalità costituzionale deve, comunque sia, prevalere su quella di lasciare spazio alla discrezionalità del legislatore per la compiuta regolazione della materia”.
La questione, dunque, deve essere trattata.
In secondo luogo, la Corte rileva come, in realtà, un correttivo quale quello proposto, prevedendo che su consenso dei genitori possa essere attribuito anche il cognome materno, non sarebbe sufficiente a risolvere il problema di legittimità costituzionale.
In mancanza di consenso, resterebbe automatica l’attribuzione del solo cognome paterno. Come può esserci uguaglianza tra uomo e donna, se alla donna serve il consenso dell’uomo per attribuire il proprio cognome al figlio, ma non viceversa?
La Corte Costituzionale, dunque, solleva davanti a sé questione di legittimità costituzionale dell’intero sistema, di cui l’art. 262 c.c. è espressione codificata.
In attesa della pronuncia definitiva, riportiamo un passaggio che ci pare particolarmente significativo ed espressivo del pensiero della Corte, già espresso nel 2016 e oggi fortemente ribadito.
“La prevalenza attribuita al ramo paterno nella trasmissione del cognome non può ritenersi giustificata dall’esigenza di salvaguardia dell’unità familiare, poiché è proprio l’eguaglianza che garantisce quella unità e, viceversa, è la diseguaglianza a metterla in pericolo, in quanto l’unità si rafforza nella misura in cui i reciproci rapporti fra i coniugi sono governati dalla solidarietà e dalla parità; nel caso in esame, ancora una volta, la perdurante violazione del principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi contraddice, ora come allora, quella finalità di garanzia dell’unità familiare, individuata quale ratio giustificatrice, in generale, di eventuali deroghe alla parità dei coniugi”.
Per approfondimenti: Corte Costituzionale n. 18 del 11.02.2021

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